di FABIOLA ASTORE –

Quando parliamo di un territorio non possiamo certamente tralasciare la conoscenza della sua tradizione culinaria. L’arte del cucinare è un elemento fondamentale della caratterizzazione di una regione. Sicuramente non c’è un momento dell’anno migliore del Natale per coniugare insieme cucina e tradizione. Anche in questo il Salento vanta un patrimonio ricchissimo di ricette e piatti deliziosi, alcuni dei quali hanno origini diffuse e diciamo anche…. confuse.

È il caso delle “pettole” o “pittule”, morbide palline di pasta lievitata e fritta che si prestano a varianti dolci o salate a seconda del periodo dell’anno e dei gusti del palato. Quale sia stata la mano che le ha cucinate per la prima volta non ci è dato sapere con estrema certezza: molte sono le leggende che si tramandano su questo piatto tipicamente pugliese, ma la più famosa vede come protagonista una sbadata signora tarantina che nella notte del 22 novembre del 1200, distratta dalla musica degli zampognari, lasciò lievitare l’impasto del pane più del dovuto. L’indomani mattina fu costretta a friggerne diverse palline (pettole deriva dal greco “pitta” e significa appunto palline, cuscini) per non far spreco di quel ben di Dio. La sera aggiunse le acciughe all’impasto e servì le pettole al marito di ritorno dalla lunga giornata di lavoro e agli zampognari che avevano reso possibile l’invenzione di questo piatto.

Poco importa se sia andata veramente così o se questa sia solo una favola: questa prelibata ricetta è sopravvissuta ai secoli e ha oltrepassato i confini pugliesi divenendo d’uso diffuso tra i due Mari, persino in Calabria e in Campania, come piatto che celebra l’inizio del periodo delle festività natalizie, il 22 novembre appunto, giorno di Santa Cecilia protettrice dei musicisti. Sempre secondo la leggenda nella città di Taranto le prime pettole  vengono fritte proprio durante la notte del 22 novembre e vengono offerte in dono ai bandisti che percorrono le vie della città suonando le tipiche pastorali tarantine durante la processione di Santa Cecilia e per tutta la giornata.

La leggenda cristiana non si discosta molto da quella laica tarantina ma vede la nascita delle pettole legate alla figura di Santa Elisabetta che, distratta da una lunga chiacchierata con la Madonna, dimenticò l’impasto del pane settimanale che crebbe a dismisura. Per recuperarlo non le restò che tuffare i pezzi di pasta nell’olio bollente. Sarà per questo che le pittule leccesi sono un simbolo del morbido cuscino su cui viene riposto il Bambinello. Qui vengono fritte addirittura già dal giorno di San Martino, l’11 novembre, per accompagnare il vino novello. Nel brindisino, invece, come a Francavilla Fontana, le pettole cominciano ad apparire sulla tavole dalla vigilia dell’Immacolata, il 7 dicembre, aprendo ufficialmente le festività natalizie.

A prescindere dai protagonisti della storia questa ricetta ha trovato nel corso del tempo mille golose sfumature di sapore con varianti dolci e salate, semplici e ripiene e ha trasformato in valore simbolico quello che un tempo doveva essere il valore economico di un piatto così, se consideriamo quale costo avevano anticamente la farina e l’olio. L’amore e la cura nel custodire e tramandare le tradizioni ha fatto sì che le pettole diventassero un simbolo della gastronomia salentina in tutto il mondo e un piatto presente oggi sulle tavole non solo del Meridione ma anche di gran parte dell’Italia.