di EMANUELA BOCCASSINI –

Domenica 2 ottobre, ore 20:30. Siamo sedute una di fronte all’altra sul treno che ci porterà a Torino. Lei ha sempre voluto andare via da Lecce, scoprire il mondo al di fuori delle mura domestiche. Ci attendevano ben tredici ore di viaggio, durante le quali sentimenti contrastanti si sarebbero intrecciati nel mio animo. Paura, ansia, eccitazione, gioia, tristezza, desiderio. Ben tredici ore di viaggio che mi hanno condotto in una città mai vista se non in qualche serie televisiva e dove la mia “pargola” si sarebbe trasferita per iniziare gli studi universitari.

Ho viaggiato poco nella mia vita e le volte che è capitato ero sempre con qualcuno più esperto di me. Questa volta, invece, ero io “quella grande” che in qualsiasi circostanza avrebbe dovuto mostrarsi in grado di risolvere ogni problema. Tuttavia mia figlia e io ci compensiamo: lei ha senso dell’orientamento e praticità con i mezzi tecnologici, io la faccia tosta di chiedere anche se vado incontro a una serie di figuracce. Il mio compito era trovare una casa per lei, perché lì, a Torino, avrebbe iniziato un nuovo percorso, una vita senza di me. Un enorme incarico che comportava anche una pesante responsabilità. Dovevo assolutamente dimostrare a me stessa, e non solo, che, sebbene impacciata e inesperta, avrei smosso mari e monti per ottenere il risultato e tornare in Puglia con la vittoria in tasca. Mi sembrava quasi di dover affrontare da sola la partita Juve-Lecce, il cui pronostico non giocava assolutamente a mio favore. Come si può trovare una casa in tre giorni in un luogo mai conosciuto, di cui si ignorano totalmente le abitudini?

“Un passo alla volta” mi sono detta. “Prima arriviamo a Torino, poi lasciamo i bagagli nel B&B e poi caricaaa!”. Così ho fatto, ma l’impatto, una volta arrivata alla stazione di Porta Nuova, è stato davvero sorprendente. A differenza della stazione di Lecce, che in confronto sembra un francobollo, quella di Torino è immensa, con negozi e pub distribuiti su due piani − una cosa è sapere o immaginare, un’altra constatare de visu. Uscita dalla stazione sono stata travolta dalla grandezza delle strade. Bisogna attraversare velocemente perché si rischia che scatti il rosso per i pedoni quando si è ancora in mezzo alla strada.

Ho trascorso giornate intere a telefonare per vedere case che erano o troppo lontano dalla sede universitaria o troppo costose o fatiscenti, e a percorrere chilometri a piedi nella speranza di trovare ciò che cercavo. A un certo punto ero quasi tentata di fermare la gente per strada e chiedere “Scusate, per caso affittate camere?” Questo perché nella città sabauda ricorre l’abitudine dei proprietari di immobili di rivolgersi ad agenzie che vogliono essere compensate prima di far vedere a chiunque un appartamento e poi il cliente rischia di pagare a vuoto. Io non avevo né il tempo, né la possibilità di sottostare a questo abuso. La disperazione stava prendendo il sopravvento, quando una signora, avanti con gli anni, ma simpatica e chiacchierona, ci ha fermato e domandato se stessimo cercando casa. Dopo una lunga conversazione e lo scambio dei rispettivi numeri di telefono, siamo riuscite a metterci d’accordo e, finalmente, mia figlia e io abbiamo scoperchiato il vaso di Pandora. Così abbiamo visionato un appartamento non troppo lontano dall’università, ben servito dai mezzi di trasporto, il cui costo era aderente alle nostre possibilità economiche. A quel punto recuperati dal B&B i nostri bagagli abbiamo preso possesso della casa. Dopo un ampio sospiro di sollievo ho fatto l’elenco delle varie necessità e siamo andate per negozi per le relative spese.

Così mi sono rilassata e ho potuto godere per le mie ultime 24 ore della compagnia della mia fanciulla e della bellezza di Torino. L’aspetto più bello di questo tour de force è stata la gente: tutti gentili, accoglienti e disponibili. La fortuna che abbiamo avuto con la casa è dovuta principalmente alla disponibilità delle persone che abbiamo incontrato. Si dice che la gente del Nord sia più fredda di quella del Sud, e in un certo senso è così. Forse, però, la differenza è che noi siamo più espansivi e calorosi, ma questo nulla toglie ai torinesi.

Sono stati quattro giorni intensi, ma alla fine sono partita a cuor leggero sapendo di aver trovato un posto adatto a mia figlia e alle sue esigenze, e allo stesso tempo malinconica, perché l’avrei riabbracciata soltanto per le vacanze di Natale. So per certo, ora che sono trascorsi due mesi, che si trova bene ed è contenta della scelta fatta. In bocca al lupo amore mio, a te e a tutti i ragazzi che hanno lasciato le proprie città, le proprie famiglie e le proprie abitudini per studiare altrove e soddisfare i bisogni di libertà, novità e realizzazione.

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