di CHIARA CHIEGO –
In questi giorni, in occasione della riconsegna della copia della statua di Sant’Oronzo alla città, si è parlato molto dello stretto legame che unisce i leccesi al loro Santo Patrono. Un legame di forte devozione – e talvolta anche scaramanzia – che va avanti dal 1684, anno in cui finalmente la statua del Protomartire trovò il suo posto sulla colonna. Della diatriba fra le città di Brindisi e Lecce per la cessione dei preziosi blocchi di marmo cipollino risalenti almeno all’VIII secolo, molto si è detto. La proposta di un sindaco brindisino fu grandemente ostacolata dai suoi successori, finché il Viceré del Regno di Napoli mise fine al conflitto e affidò i blocchi di marmo dell’antica colonna alla città salentina.
Forse meno conosciuta, è la storia riguardante la distruzione della statua avvenuta nel 1737: il fervente culto per il Santo, nacque quando i cittadini decisero di chiamare i propri figli col nome di Oronzo, per ringraziarlo di averli salvati dalla peste. Talmente tanta fu la riconoscenza, che la tradizione si diffuse fino ad Ostuni. Nel 1737 sulla sommità della colonna era da tempo posta una stata realizzata con una struttura lignea ricoperta da placche d’argento, di fattura veneziana; durante i festeggiamenti in onore del Santo, un razzo d’artificio andò a incastrarsi sotto l’ascella della statua e ben presto per l’effige non ci fu nulla da fare. La struttura lignea cedette alle fiamme, sgretolandosi al suolo. Solamente la testa della statua rimase integra, e, anche in questo, i credenti videro un segno miracoloso, tanto che in molti raccolsero cenere e frammenti per venerarli o ingerirli mescolati in acqua. Si narra di un uomo molto malato che guarì dopo aver assaggiato il composto miracoloso. Decisi a non far rimanere la colonna sprovvista di Santo, i cittadini, con a capo il sindaco Pasquale Consiglio, decisero di ordinare una nuova statua di manifattura veneziana e per farlo, imbarcarono su una nave in partenza dal porto di San Cataldo, una cassa contenente la preziosa testa e il nuovo modello realizzato da Mauro Manieri.
Ancora una volta qualcosa di incredibile accadde: si narra infatti che una tremenda tempesta colpì la nave che fu spinta nelle vicinanze di Ragusa, venendo distrutta dalle intemperie. Tutto il carico fu perso tranne, ovviamente, la cassa contenente la testa del Santo.
Il 30 luglio del 1739, infine, attraccò a San Cataldo una nave veneziana che trasportava la nuova statua, identica alla precedente, solo poco più alta. E finalmente il 16 agosto del 1739, la statua del Patrono tornò al suo posto al centro della piazza e nei cuori dei suoi fedeli cittadini.