di ANNA MAZZOTTA –
Il culto di san Giuseppe si diffuse in Italia nel primo medioevo. Secondo quanto si tramanda, il padre putativo di Gesù sarebbe morto a 111 anni il 19 marzo, giorno in cui si celebra attualmente la sua ricorrenza. Ma fu nel 1871 che la Chiesa universale lo proclamò protettore dei padri di famiglia.
Prima della sua istituzione, proprio il 19 marzo, nel periodo predominato dal paganesimo, veniva festeggiata la vigilia dell’equinozio di primavera, in cui protagonisti indiscussi erano i falò, da qui la tradizione dei grandi fuochi che illuminano le notti di festa di san Giuseppe.
Come spesso accade nelle festività religiose, il cibo assume un ruolo significativo. In questo caso, piccoli pani vengono portati in Chiesa al mattino per essere benedetti per poi essere offerti a tutti i fedeli. Ma è il pranzo il momento centrale della festa, con l’usanza tipica pugliese di imbandire le cosiddette “mattre (tavole) di san GIuseppe”. Sono diverse le teorie sull’origine di questa tradizione. La teoria più diffusa è quella risalente alle origini alla dominazione bizantina nell’Italia meridionale, periodo in cui monaci basiliani, pervasi da spirito di carità, offrivano pasti caldi alle genti povere.
San Giuseppe è, non a caso, il protettore degli indigenti e degli abbandonati, oltre che dei falegnami e degli artigiani. Per questo, le tavole a lui intitolate sono considerate una sorta di altari sacri imbanditi per la comunità, in particolare per i bisognosi. Al centro della mattra viene posta un’immagine del santo addobbata con fiori freschi e ceri. Ci sono poi grossi pani tondi nel cui incavo si pongono arance o finocchi; nel Salento predomina anche la zuppa di ceci con i maltagliati – pasta fatta in casa – profumata al rosmarino, in alternativa alla pasta con mollica di pane, lo stoccafisso in umido, e tante altre prelibatezze.
Tutte pietanze con un significato simbolico: la pasta e ceci, dal colore bianco e giallo, ricorda il narciso, bellissimo fiore che sboccia ai primi tepori primaverili, mentre lo stoccafisso era il pesce consumato nelle festività importanti.
Ma nel giorno di San Giuseppe grande uso viene fatto delle “zeppole”, fritte o al forno. Tra le tante storielle legate alla nascita di questo dolce, c’è quella secondo la quale, durante la fuga in Egitto, Giuseppe, per sfamare Maria e Gesù, riuscì a preparare e vendere frittelle anche se si trovava in terra straniera. Da qui il simpatico nomignolo di “frittellaro”, diffuso soprattutto nel territorio romana.
Alla festa di San Giuseppe è legato anche il rituale dei fuochi, di sicura derivazione pagana per la simbologia delle fiamme che si diramano dal falò, rappresentante la luce del giorno che avanza sull’ oscurità della notte. In diversi paesi salentini, si realizzano altissime cataste di legna che vengono accese il giorno della vigilia del 19 marzo e che continuano a bruciare per tutta la durata dei festeggiamenti.
Queste usanze oggi assumono una connotazione turistica, e allo stesso sono fondamentali per tramandare ai giovani un ricco patrimonio culturale che accompagna questo giorno così speciale.