di CHIARA CHIEGO –

È tempo di coriandoli, stelle filanti, vestiti dai colori sgargianti, lustrini e danze sfrenate: il Carnevale è arrivato.

Questo periodo di festa, come molte tradizioni popolari, ha radici antiche nei riti legati ai cicli della natura e al passaggio fra inverno e primavera, e ha mantenuto l’aspetto propiziatorio di saturnali e riti dionisiaci. Ad esempio, nel Salento il periodo carnevalesco si apre con il rito delle fòcare (famosa quella di Novoli) dedicate a Sant’Antonio Abate ed estremamente legate al mondo contadino.

Il Carnevale più antico del mondo è quello di Putignano, che ad oggi rappresenta un’eccellenza pugliese nota in tutto il mondo con i suoi carri pieni di ironia e Farinella, la maschera tradizionale che si riferisce ad un piatto della cucina tipica a base di legumi. Anche in provincia di Taranto e Lecce esistono delle tradizioni carnevalesche molto forti, con maschere legate al territorio.

Nel Carnevale di Gallipoli è nota la maschera di Lu Titoru: un giovane soldato di nome Teodoro che, ghiotto di polpette, chiese alla madre di preparargli la squisita pietanza; ma la troppa foga gli fece andare di traverso una polpetta, uccidendolo. Ecco che allora, il corpo del giovane – dal volto colorato di rosso e giallo, i colori della città – viene portato in processione, accompagnato da una serie di vedove piangenti, le chiangimuerti e da una donna che nella tradizione gallipolina è la madre del Carnevale, la Caremma, mentre in quella tarantina è la vedova che litiga verbalmente con le sue amanti, le chiangimuerti.

Una tradizione simile esiste anche nel Carnevale di Massafra, che prevede il Carnevale moribondo con la morte di Juann Carnevale (il nome forse è un omaggio a un animatore di queste manifestazioni vissuto nell’800). A Taranto oltre alla morte del Carnevale, ci sono altre maschere che ripropongono usi e costumi tipici della città ionica fra ‘800 e ‘900, come Angiacche la tignosa – Francesca la tignosa – che si rifà ad una povera donna realmente esistita, bistrattata perché, per guadagnare qualche spicciolo, svuotava i pitali di chi non aveva le fognature vicino casa. Per rappresentarla, la maschera prevede un lungo abito bianco, come una lunga camicia da notte e l’immancabile pitale come cappello.

Tipica del Carnevale che si teneva nella parte vecchia della città di Taranto, era la maschera dei fratelli pescatori:  quattro fratelli che portavano in giro i propri attrezzi e cantavano sotto i balconi delle belle ragazze. Oltre al canto, anche la danza era importante: la pizzica era ovunque e tutti la ballavano per i vicoli e nelle piazze. I mascherati la danzavano insieme alla maschera dello Sciummute, il gobbo: si faceva a gara a toccare la gobba del mascherato, perché un’antica tradizione cristiana vuole che porti fortuna in quanto “toccato da Dio”.

Che si voglia augurare una primavera ricca di frutti, festeggiare insieme o semplicemente abbattere la monotonia, sono tanti gli eventi che ruotano intorno al Carnevale: e forse oltre alle maschere dei supereroi e delle principesse, possiamo far rivivere il passato attraverso le maschere dei suoi protagonisti, fra un trillo di trombe e una risata.