di CHIARA CHIEGO –

Ottobre è un mese dedicato a tante cose: agli alberi tinti di colori vivaci, alle zucche pronte per essere intagliate – o mangiate -, al profumo delle prime caldarroste e a San Francesco. La festività del Poverello di Assisi, la cui ricorrenza è il 4 ottobre, dall’anno prossimo ha riottenuto il titolo di Festa Nazionale, e tornerà in rosso sul calendario. La devozione al patrono d’Italia è fortissima anche in Puglia, e a Lecce, ancora si raccontano le leggende e i miracoli compiuti da Francesco.
Viene narrato che di ritorno da un viaggio in Palestina, dopo essere arrivato ad Otranto, soggiornò per qualche tempo a Lecce: nei vari racconti non è ben chiaro se ci fosse già una comunità di monaci francescani o si creò dopo la sua venuta, ma tutti concordano nel dire che il Santo attraversò Porta San Biagio e mendicò tra i palazzi leccesi.
Mentre cercava l’elemosina di casa in casa, arrivato al portone di un palazzo della famiglia Pirrone (o De Pirrone), venne accolto da un paggio – o da una cameriera – dalle fattezze angeliche, che porse al Santo del pane bianco. In una delle versioni, pare si trattasse della tipica cuddhura a forma di anello che si prepara nel periodo pasquale. Quando Francesco cercò di farsi aprire di nuovo il portone per ringraziare per la generosa offerta, lo accolse un servo che negò sbalordito: in casa non vi era pane di nessun tipo.
A memoria di questo miracolo, i proprietari del palazzo fecero scolpire sull’arco del portone di entrata, un putto che si cala dal cielo gentilmente, con in mano un grande anello di pane.
La seconda leggenda dedicata a San Francesco, ha a che fare con il nome di una chiesa: San Francesco della Scarpa. La storia narra che il Santo decise di piantare un agrumeto proprio in quello che diventerà il giardino della chiesa, e che nel farlo, perdette un sandalo, che fu venerato e diede poi il nome al luogo.
Oggi sappiamo però che nel XVI secolo la chiesa era un convento dei frati di Santa Maria del Tempio, andato poi distrutto. Questi frati si dividevano in conventuali ed osservanti che erano soliti camminare scalzi. Quando fu ricostruita nel XVII secolo (inglobata poi nel Convitto Palmieri), la chiesa prese probabilmente il suo nome definitivo da questa abitudine dei frati. La devozione al Santo di Assisi rimase però immutata, e si dice che si trovi al suo interno, ancora un albero di arance del giardino piantato da San Francesco.
Queste sono solo alcune delle tracce che una figura imponente e ancora attualissima come quella di Francesco d’Assisi, ha lasciato in luoghi così vari e diversi tra loro, ma accomunati dalla stessa ricerca spirituale.