di ANTONIO RIPA –

Faceva la guardia al gregge. Sul labile confine tra il pascolo consentito e il grano. A fine maggio. Quando le spighe chinano il capo per il fardello dei chicchi. Sono un’attrazione irresistibile per le pecore e le capre, costrette a un pascolo abusato, denutrito dalla siccità dell’estate incombente e impoverito dalle ripetute esplorazioni di bocche affamate.

Lui era lì. Teneva a bada la tentazione di incursioni da parte degli erbivori. Lo sconfinamento sarebbe stato possibile tra qualche tempo. Dopo la mietitura. Una stoppia vergine prodiga di frumento sfuggito alla falce della mietitrice. Intanto nessun animale poteva osare di passare il segno. Si chiamava Tutùi. Nome che aveva ricevuto da cucciolo e che gli si era adattato sempre meno man mano che era cresciuto. Era nato da una femmina di pastore tedesco che aveva ceduto alle avances di un canelupo dal manto grigio che si dava a scorribande nelle masserie del circondario, in cerca di femmine e di cibo, abitudine che aveva finito per procurargli una morte precoce e cruenta. Tutùi aveva ereditato tutto a metà dai genitori. Il colore del manto, la taglia intermedia, il carattere fermo e l’astuzia.

Rigido come una divinità egizia si metteva seduto nel campo di grano, a un metro scarso dal confine, osservava il gregge, destra e sinistra, ritmicamente, con piccoli aggiustamenti, impercettibili torsioni del collo e dei bulbi oculari. Si poteva brucare l’ultimo filo d’erba, non il primo stelo di grano. Avvisava le sue sorvegliate con un ringhio, minimo, una minaccia che sussurrava appena ma che veniva colta subito e bastava a inibire qualunque desiderio di passare la frontiera. Purtuttavia qualche capra o qualche pecora tra quelle calcolatamente più lontane dalla sua postazione, cedendo all’impellenza del senso di fame e incoraggiata dalla posizione favorevole, tentava un rapido allungo nel campo vietato. Tutùi si lanciava fulmineo, trasfigurando in un mostro mitico col furore negli occhi, il muso arricciato sulle narici a scoprire una fila di denti aguzzi, rabbiosi di bava, e il pelo ritto sulla schiena a raddoppiargli la sagoma. Tutto il gregge si ritraeva all’istante come uno stormo di storni.

Nessun animale brucava. Tutti atterriti si guardavano intorno alla ricerca del trasgressore, aspettavano che Tutùi riprendesse posizione e poi calavano giù il muso cercando di sfamarsi con quello che lui, il capo, il dittatore, gli consentiva di mangiare. Comandava lui. Lui e l’altro lui, il pastore tedesco e il canelupo che gli albergavano dentro e si manifestavano a turno, all’occorrenza. Comandava lui e lui dettava le regole, d’imperio. Le regole valevano per tutti. Quasi. Era dispensata solo Pipìcchia. Una capretta coetanea di Tutùi, rimasta senza la madre, morta di parto, e messa a condividere la sua cuccia da piccolo. Si tenevano caldi a vicenda nelle notti di febbraio di due anni prima…(continua).